Riflessioni sull’estetica musicale:tributo ad un artista ibleo
Saggio-recensione de La Sicilia musicale
Ars organaria negli iblei
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Ars organaria negli iblei. di Dario Adamo

Un antico legame unisce indagine filosofico-scientifica sui fenomeni acustici, tecnologia della produzione del suono e prassi musicale. Di tale nesso oggi non rimane che un relitto visibile nella realtà oggettiva degli strumenti musicali moderni. La sua storia è visibile, oltre che negli strumenti d’epoca sopravvissuti, nell’attività svolta da sparute botteghe artigiane e nell’atavica conoscenza che gli esperti cultori, ivi operanti, custodiscono gelosamente.

La realizzazione di generatori acustici ha interessato la storia dell’uomo sin dai suoi primi passi.

La genesi degli strumenti musicali è dovuta ad un processo di oggettivazione della musica prodotta dal corpo umano in movimento, e dall’osservazione della natura (scoperta dell’esistenza di strumenti naturali -conchiglie, canne, tronchi cavi- e.imitazione dei suoni/rumori ambientali). Il più prezioso depositario del progresso tecnico nell’ambito della costruzione di strumenti musicali è l’arte organaria.

 

L’organo.

L’organo, insieme all’orologio, è lo strumento meccanico più complesso prima della Rivoluzione Industriale. Classificato come aerofono, tale strumento consta essenzialmente di quattro componenti: mantice, un tempo azionato a mano, oggi alimentato da ventilatori elettrici; somiere, una grande cassa collegata al mantice che distribuisce l’aria alle canne; consolle ossia l’insieme delle tastiere (dette anche manuali), della pedaliera e dei comandi dei vari registri; canne (per lo più metalliche e di forme svariate per dare suoni di altezza e timbro diversi).

Per una piena comprensione della storia dell’organo, bisogna considerare la visione d’insieme -determinata via via da ragioni sociali ed economiche- che abbraccia il mutare del gusto e degli stili avvicendatisi nella storia della musica colta e l’azione di musicisti e compositori che perfezionandone l’dioma ne ha spinto il perfezionamento tecnologico. Le vicende storiche riguardanti l’organo sono testimoniate, oltre che dagli esemplari pervenutici, dai trattati e dalla produzione compositiva. In Europa, dal rinascimento in poi, la produzione cartacea sull’organo (trattati e musica) è aumentata considerevolmente. La grande fortuna di questo strumento è dovuta alla sua destinazione liturgica. All’interno degli edifici cultuali, esso fornisce da secoli un accompagnamento per brani liturgici o sacri, ma la sua pratica ha stimolato anche la creazione di forme idiomatiche.

La costruzione di organi risale all’antichità. Fonti letterarie attribuiscono la realizzazione di un hidraulis, un’organo alimentato mediante il principio dei vasi comunicanti, a Ctesibio di Alessandria (III sec. a.C.). Questo tipo di strumento, di cui ci rimangono frammenti, modellini in terracotta e miniature, ha avuto un utilizzo profano, soprattutto per l’intrattenimento circense. Durante il primo millennio dell’era volgare esso è stato surclassato da un nuovo tipo di organo in cui l’aria è prodotta da una manticeria. Quest’ultimo tipo, per un processo storico non ancora chiarito, tra 900 e 1200 è stato adottato dalla Chiesa, divenendo uno strumento ad esclusiva destinazione liturgica. Alla fine del medioevo l’organo è ormai dotato di pedaliera e di registri, quest’ultimi utili ad attivare e disattivare varie file di canne agendo sulla qualità timbrica del suono. Nelle epoche successive le componenti essenziali rimangono quelle dell’organo tardomedievale, salvo adeguamenti e modifiche offerte dalle possibilità tecnologiche, e si assiste sostanzialmente ad un processo di accrescimento. In virtù di quest’ultimo fenomeno si avranno strumenti grandiosi costituiti da corpi d’organo indipendenti (aventi proprie canne, propri registri, e talvolta proprie tastiere), coordinati in un complesso architettonico unitario.

Esempi di organi di notevoli dimensioni si hanno anche in Sicilia, come il seicentesco esemplare costruito dal napoletano Donato del Piano per la chiesa di S.Nicola all’Arena di Catania (quattro corpi comandati da tre consolle, una centrale con tre manuali e due laterali con un manuale per ciascuna), o come quello realizzato nel 1836-46 dal siciliano Francesco La Grassa per la chiesa di S.Pietro in Trapani, dotato di sette manuali. Nell’ottocento l’imitazione del linguaggio orchestrale ha grossolanamente appesantito lo strumento di timbri estranei (come le percussioni) e intanto si assiste al graduale abbandono della trasmissione puramente meccanica per i primi esperimenti di trasmissione elettrica, cosicchè l’organaria italiana si apre, non senza riluttanza, alle innovazioni industriali straniere. Con l’abbandono delle risorse sonore tradizionali l’organo italiano si và spersonalizzando. Ma già agli inizi del XX secolo l’organo romantico di stampo industriale incontra oppositori, iniziando l’opera di rivalutazione degli ideali sonori dell’arte organaria antica. Gli artigiani ritornano sui loro passi, ma il declino dell’organo è in fase avanzata per il decrescente interesse per la dimensione liturgica. La crescente industrializzazione e il progresso dell’elettronica hanno drasticamente ridotto l’attività organaria, volta oggi soprattutto al restauro degli esemplari antichi. L’arte organaria italiana, per limitarci ad essa, ha lasciato testimonianza di artigiani operanti sin dal trecento. Tra le aree più sviluppate e documentate è l’Italia Settentrionale ove si distingue la scuola lombarda che raggiunge il primo apice con gli Antegnati nel cinquecento ed uno successivo con i Serassi tra sette e ottocento.

 

Polizzi a Modica

L’organaria meridionale attende un’indagine sistematica. Negli ultimi decenni la pubblicazione degli esiti di restauri effettuati in Sicilia ha mostrato alla comunità scientifica l’esistenza di una fiorente attività anche nel profondo Sud. Un primo passo per poter intervenire su vasta scala, vale a dire un monitoraggio locale del patrimonio organario è stato compiuto: un volume di imminente pubblicazione dal titolo L’organaria nella diocesi di Noto, curato da Luciano Buono (ispettore onorario per la tutela degli organi antichi presso la Sovrintendenza di Messina) espone gli esiti di un’intensiva catalogazione degli organi iblei. Parte di questi strumenti portano la firma di una prestigiosa bottega locale.

Probabilmente pochi modicani sanno che nella loro città è attivo da oltre un secolo il laboratorio d’organaria fondato dal nisseno Michele Polizzi. Egli, formatosi alla bottegha del padre Damiano, dal 1881 frequenta, durante i tre anni di leva a Bergamo, la Rinomata Fabbrica Serassi. Nel 1885 Michele, ritornato a Caltanissetta, viene invitato a Modica da Casimiro Allieri, capofabbrica dei Serassi, per partecipare alla realizzazione del grande organo del duomo di S.Giorgio. Nel 1888 il Polizzi costruisce, per conto dell’Allieri, l’organo della chiesa di S.Vito in Chiaramonte Gulfi. Nel 1891, quando l’organaro firma il suo primo organo (quello per la Chiesa Madre di Rosolini), si è già stabilito a Modica. All’opera prima seguirà una febbrile attività improntata sulle tecniche costruttive serassiane che produrrà una serie di strumenti dotati di una spiccata personalità. Ai primi del novecento Agostino, ultimogenito di Damiano, raggiunge a Modica il fratello. Nel 1936, deceduto Michele, Agostino prosegue sulle sue orme. Nel 1957 Michele Polizzi (II), nato da Agostino nel 1910, si mette in proprio, pur rimanendo a Modica. Michele opererà fino al 1974 alternando la costruzione di nuovi organi al restauro di organi antichi. In cento anni di attività il ramo ibleo dei Polizzi realizza circa 120 strumenti. Tra i segreti dei Polizzi, l’atteggiamento autarchico nella costruzione delle parti dell’organo, evitando il ricorso alla componentistica industriale già disponibile dai primi anni del novecento, intuendo in tale soluzione l’unica per non spersonalizzare le loro opere.

La ridotta attività del vecchio maestro senza ‘eredi legittimi’ subisce una accelerazione negli anni ottanta, per merito di Antonio Bovelacci, trentino ma ragusano d’adozione. Dal 1991, anno della morte di Polizzi, Bovelacci, già specializzato in elettroacustica musicale, carpiti i segreti del Maestro, ne continua l’opera nella vecchia bottega, soprattutto nel campo del restauro. Come segno di continuità della tradizione organanaria, negli ultimi tempi Antonio è aiutato dal figlio Alessandro.

 

Restauro e poi...

La scelta di dedicarsi alle attività di restauro compiuta dai Polizzi e perseguita da Bovelacci non è isolata. Nel secondo dopoguerra la drastica diminuzione della domanda di nuovi strumenti di fattura artigianale ed il conseguente dirottamento verso l’ambito del recupero funzionale degli organi antichi ha riguardato la stragrande maggioranza delle botteghe italiane superstiti. Le fortunate operazioni su scala regionale, seguite dalle soprintendenze, rivestono particolare interesse poichè i nostri organi avendo per indigenza subito nel tempo pochi ammodernamenti (specie nelle chiese di minore importanza), si rivelano esemplari storici di notevole importanza.

La tutela degli strumenti musicali è sottoposta alla legge n° 1089 del 1939 che riguarda i beni artistici e storici. In realtà, essa tace degli strumenti musicali. Esiste una legge regionale, la n° 44 del 1985 -riguardante i finanziamenti che l’assessorato regionale ai beni culturali può destinare ad attività musicali- che dedica un capitolo al restauro degli strumenti. L’atteggiamento assunto dagli organari incaricati di effettuare i lavori è una politica di recupero filologico che non trascuri il ripristino funzionale. Esso, al di là dell’utopica riconquista della ‘sonorità storica’, è l’unica maniera per consentire un efficace riuso dell’organo restaurato. Sebbene in Italia gli strumenti musicali vengano più spesso tenuti sotto chiave, l’abitudine di utilizzare frequentente, anche pubblicamente, il nostro patrimonio organologico è l’unica soluzione per garantirne una lunga vita, oltre a dare una motivazione sociale all’impiego di notevoli capitali per rimediare ai danni inferti dal tempo e dall’incuria umana a questi preziosi oggetti sonori. La Sicilia si sta dimostrando terreno fertile per una operazione di recupero e di sensibilizzazione: ai concerti organizzati dopo il restauro assiste un pubblico sempre più numeroso (tali occasioni però dovrebbero ottenere continuità). Il cammino verso una soluzione ottimale è lungo. I passi successivi spettano alla comunità. La delega al legislatore auspicata dal nostro sistema democratico, non sembra essere sempre la migliore soluzione. E’ interesse di tutti i soggetti sociali la riscoperta (critica e non nostalgica) del passato, nel caso degli organi una riscoperta sonora non puramente edonistica, e la valorizzazione del patrimonio storico e artistico per assecondare la vocazione turistica che, assieme a quella agricola, è l’unica percorribile nello scenario economico locale.

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Addenda: l’indicazione bibliografica del libro, ora uscito, segnalato nell’articolo è

L’organaria nella diocesi di Noto : Catalogazione degli organi storici costruiti tra il XVIII e il XX secolo : Studi e ricerche / a cura di Luciano Buono. - Catania : Società meridionale per gli studi musicali, 1998. - 95 p., con fotogr. ; 29 p. - Sul retro del front: Pubblicazione edita nel marzo 1998 con il contributo dell’assessorato Regionale dei Beni Culturali, Ambientali e della Pubblica Istruzione.