Riflessioni sull’estetica musicale:tributo ad un artista ibleo
Saggio-recensione de La Sicilia musicale
Paolo Altieri a Scicli?
Il concerto di Alba Assenza: la musicista ritorna sulla scena dopo 22 anni
Presentato a Scicli il progetto discografico sulle musiche cameristiche di Borrometi
Due serate musicali al Centro Studi "F. Rossitto"
Musica in dis-uso.
 
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Musica in dis-uso. Rifunzionalizzare il suono organizzato di Dario Adamo

 

Nell’avvicendarsi delle epoche la società occidentale, abbandonando la struttura tribale prima e feudale poi, ha riorganizzato il suo sistema di valori attorno al concetto mercantilistico del dare e avere esclusivamente in senso pecuniario. Tutte le classi, la subalterna e l’aristocratica hanno compiuto una convergenza verso questo stile di vita borghese. Gli aspetti culturali, antropologicamente intesi, hanno subito gli inevitabili riflessi del radicale mutamento di mentalità. A determinare la peculiarità dell’atteggiamento della nostra società, in particolare, è intervenuto poi il connubio istituitosi tra ideali borghesi, idealistici e cattolici. La trasformazione ha coinvolto naturalmente il concetto di musica e le nostre pratiche sonore.

Nella sua datità, la musica era - e lo è immanentemente anche oggi - un ‘sistema di comunicazione’ utile al progresso civile (oltre che, indirettamente, uno strumento privilegiato per scrutare una società e capirla). Con l’avvento della scrittura e del professionismo musicali ci siamo lasciati alle spalle quella cultura orale e collettiva tipica di società vitali. Vi è stato da parte dei musicisti la sfrenata ricerca della verità - la stessa agognata dai filosofi - ma un progressivo ed ineluttabile allontanamento dei non iniziati. Per cui, il prodotto del nostro progresso musicale è una pesante sottolineatura dei poli di quel che i semiologi chiamano ‘ciclo della produzione di senso’ ossia la triplice produttore-oggetto-fruitore: purtroppo l’oggetto non è più creato democraticamente ma viene imposto (benevolmente da individui rappresentativi e dotati un tempo, sempre più dalle multinazionali oggi) ad individui alienati e sfibrati dal frenetico vivere quotidiano della società globale. Ma il desiderio di conoscenza degli iniziati (compositori) - risoltosi nella creazione della nuova categoria dei ‘fruitori’ - ha provocato un ulteriore drammatico rovescio della medaglia. Il musicista - il compositore da una parte e l’esecutore dall’altra - è attualmente un emarginato sociale che mendica alla tavola del capitalismo vigente. Se è vero che un’analoga situazione è riscontrabile in altre epoche, nella nostra non ci sarebbe bisogno di tale ‘accattonaggio’ dato che la musica è stata riconosciuta (in maniera travisata) importante quindi economicamente valida. (Che esistano dei professionisti che per meriti artistici o politici riescano a ‘vivere di note’ è un altro discorso che meriterebbe un eventuale approfondimento). Quello che qui si vaticina non è la fatidica ‘fine del mondo’ musicale (gli stili si rigenerano in una sorta di corsi e ricorsi storici), ma il naufragio di quel contatto vivo con la sfera acustica della nostra esistenza. In poche parole, per uscire da questo labirinto bisognerà mettere in atto una strategia culturale che abolisca il fastidioso equivoco secondo cui la musica assolverebbe solo ad una funzione ludica (o per i più istruiti, al limite, erudita, ma in definitiva vacuamente nozionistica): gli infiniti organismi che generazioni di pensatori/compositori ci hanno lasciato in eredità devono essere adottati come strumento d’indagine, da ammirare sì come prodotto artistico, ma utile soprattutto per una reale appropriazione del fare musica e per una riconquista, almeno parziale, del paradiso sonoro, che a causa di un complesso di ‘scelte’ storiche ed evolutive, abbiamo oramai irrimediabilmente perduto.