Inerpicarsi lentamente su per i duecentocinquanta gradini che portano al sagrato della chiesa madre di San Giorgio, a Modica, è sempre stata una gran bella fatica. Che è comunque – fede a parte – abbondantemente ripagata, già all’inizio della "scalata", dalla magnificenza scenografica del tempio. La chiesa che oggi si ammira, considerata il monumento artistico più importante di Modica, capolavoro del grande architetto siracusano Rosario Gagliardi vissuto nel Settecento e autore di un altro celebre tempio dedicato a San Giorgio, in Ragusa, non è però la chiesa ricordata dalla tradizione. Quando, nel 1693, un tremendo terremoto si abbatté su una cinquantina di centri abitati della Sicilia, anche Modica venne quasi completamente distrutta. Della sua parte monumentale si salvarono soltanto il portale gotico della chiesa del Carmine, una parte della quattrocentesca chiesa di Santa Maria del Gesù, la cappella del Sacramento nella navata destra della chiesa di Santa Maria di Betlem. Non si salvò invece un altro importante tempio della città, appunto l’antica chiesa di San Giorgio.

Affidata alle cure di un frate, l’abate Umberto, la chiesa venne inaugurata tra il 1120 e il 1140, e certo di anno in anno si arricchì di donativi e offerte. Sino al 1613, quando un terremoto la distrusse per gran parte. Subito ne venne decisa la ricostruzione, ma soltanto qualche decennio dopo, nel 1643, venne posta la prima pietra.

Maestoso poema di pietre curve, come è stato definito, il tempio ha la sua parte più imponente nella facciata ma anche l’interno non è meno solenne. Di stile romano a croce latina, a cinque navate, come si può intuire dai cinque portali esterni, ha quattro ordini di colonne di pietra forte levigata simile al marmo, sormontata da pregevoli capitelli corinzi; all’incrocio col transetto, le navate danno luogo ad un’aerea cupola centrale, che si innalza per 36 metri, e a due cupolette laterali.

Anno dopo anno, numerosi capolavori si sono accumulati nella chiesa: dipinti, archi, stucchi, marmi, l’altare, il coro, argenti, argenti, arredi sacri. Fra tutto spicca per la sua maestosità e per le sue eccezionali dimensioni, opera unica per grandezza nel suo genere, il polittico che adorna la parte absidale dell’altare maggiore. Composto di dieci tavole, una semicircolare e le altre che formano tre trittici rappresentanti scene della vita di Gesù, di San Giorgio e di San Martino, con cornici riccamente dorate, il polittico è del 1513: da alcuni attribuito a Gerolamo Alibrandi discepolo di Antonello da Messina, da altri al pittore modicano Bernardino Niger. Delle altre opere d’arte, da ricordare la statua della Madonna della Neve di Giuliano Mancino e Bartolomeo Berrettaro, del 1511; il dipinto dell’Assunta opera di Filippo Paladino, 1610.

Tra gli argenti, oltre a quello cesellato che adorna l’altare maggiore, finito nel 1705, c’è l’artistica urna contenente le reliquie di San Giorgio, nella navata laterale destra. È una delle opere più belle dell’oreficeria italiana: chiamata "Santa Cassa", così come ricco appare l’organo, grandioso per la sua struttura architettonica, finemente scolpito nel legno e decorato con porcellana e oro.

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