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TUTTO SUGLI EX-LIBRIS    a cura di Andrea Disertori

Come tutte le attività umane, l'ex libris ha subito profonde trasformazioni nel corso dei secoli dalle origini ad oggi: firma autografa sui codici manoscritti; foglietto con stemma araldico, biglietto da visita, fino ad arrivare alla varietà di immagini (e motti) del primo Novecento, da incollare sul risvolto dei libri a cominciare dal tempo in cui è stata inventata la stampa con i caratteri mobili.

Oggi, molto spesso, l'ex libris ha abbandonato la sua funzione di segno di personalizzazione e proprietà dei volumi di una biblioteca, per trasformarsi in prezioso oggetto da collezione.

Fin dalle origini, quando venne abbandonato il contrassegno di proprietà manoscritto, la prima delle esigenze intrinseche dell'ex libris fu la ripetitività, tanto più sentita quanto più era grande il numero dei volumi componenti una stessa biblioteca.

Quindi la prima esigenza che ne determinò la trasformazione nel tempo fu costituita dal susseguirsi dell'evoluzione dei sistemi di stampa: xilografia, calcografia, litografia nate come strumento artigianale, sono diventate oggi la forma d'arte più ricercata in alternativa alla riproduzione fotomeccanica dell'immagine disegnata a penna. Per questo la storia ed il confronto delle differenti tecniche di incisione sono fondamentali.

La xilografia o incisione sul legno (xilon) a "rilievo" è la più antica tecnica di stampa importata in Europa dalla Cina sul finire del 1300. La matrice viene incisa manualmente, scavando le parti bianche di un disegno tracciato sulla sua superficie liscia, badando a risparmiare infatti i segni neri: cosicchè questi, a lavoro finito, risultano prominenti sul fondo sminuito e sono perciò pronti, dopo essere stati spalmati d'inchiostro denso da un apposito utensile (tampone, spazzola o rullo), a trasmettere l'immagine uguale, ma invertita, su un foglio di carta, con il quale prendono contatto per pressione esercitata a mano o da un torchio.

La tavoletta da incidere può essere di "filo" o di "testa", a seconda se la superficie è parallela o perpendicolare alle fibre del legno. Per il procedimento di "filo", il più antico, si usano le "lancette", le "sgorbie", gli "scalpellini", e i tratti ottenuti sono grossi.

Per l'incisione di "testa", che raggiunge effetti più nitidi, si prferiscono i "bulini" e le "ciappole" di acciaio. Con il finire del Quattrocento, sull'uso della xilografia prevale, una nuova tecnica di stampa, la "calcografia" o incisione ad oncavo:una ingegnosa applicazione dell'arte orafa per cesellare i metalli, in particolarre il rame, da cui prende nome (càlcos).

I tratti neri del disegno sono stati scalfiti nella lastra di metallo levigata. Quest'ultima viene cosparsa di inchiostro da stampa e poi detersa con una garza (la "tarlatana") in modo che l'inchiostro rimane solo nei solchi. La lastra sovrapposta al foglio umido, viene fatta scorrere sotto la pressione di rulli di un torchio. Il foglio riceve così, dai solchi riempiti di inchiostro, l'impronta invertita dal disegno. Le immagini cos' ottenute grazie alla sottigliezza dei solchi inchiostrati hanno una maggiore minutezza di particolari, rispetto alla xilografia, condizionata dallo spessore del rilievo ottenuto nel legno. La calcografia comprende varie tecniche per fare gli incavi nella lastra di metallo: il "bulino" è lo strumento usato più anticamente per incidere. Molto simile alla tecnica del "bulino", la "puntasecca" è ottenuto non scavando, bensì graffiando con un sottile ago di acciaio la superficie; questo genere di incisione, usato per la prima volta da Andrea Meldolla (1522-1582), è caratterizzato da una estrema leggerezza delle linee e dei tratteggi, dando una particolare morbidezza di chiaroscuri.