Riflessioni sull’estetica musicale:tributo ad un artista ibleo
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Riflessioni sull’estetica musicale : tributo ad un artista ibleo1.   di Dario Adamo

In principio fu il suono.

Nella mitologia dell’uomo primitivo l’universo ha avuto origine dal suono. Il contatto con la deità = natura (animismo) avveniva attraverso la transe favorita dal suono e dal canto, entrambi prodotti da una persona particolarmente sensibile (sciamano). L’importanza del suono nelle società tradizionali, in cui la musica sustanzia ogni manifestazione quotidiana, dimostra come il nostro udito, al pari di quello di altre specie in lotta per la sopravvivenza, fosse un senso particolarmente allenato. Il progresso tecnologico, in Europa avvenuto a livello esponenziale, ha però a lungo andare enfatizzato la vista, cosicchè alla soggettività è subentrata l’oggettività, l’uso dell’emisfero sinistro del cervello ha avuto il sopravvento su quello destro[2]. Il sovvertimento della primigenia natura umana ha provocato l’ impoverimento dell’esperienza sensibile dell’europeo (comprendendo sotto questa accezione anche coloro che abitano tutte le regioni extra-europee colonizzate e ‘civilizzate’), sicchè quest’ultimo ha perduto la capacità di comunicare con la natura = dio e di ascendere quindi alle profondità del suo mondo interiore (la riconquista della realtà emotiva è stato recente argomento di un saggio di Marcella Danon [3]nel quale si offre un percorso ‘musicoterapico’ graduale in cui la musica gioca un ruolo di catalizzatore; nell’ultimo livello della meditazione non elucubrativa, il corpo raggiungerebbe uno stato di benessere dovuto al suo vibrare a 8 Hz al secondo, la stessa frequenza a cui vibra la Terra!). Nella civiltà europea la musica si è trasformata da veicolo per la ricerca interiore e di espressività emozionale in un oggetto utile alla liturgia o allo svago ed ha subito gli eccessi di intellettualismo oppure di banalizzazione imitativa: con questi presupposti si sono creati gli effimeri concetti di arte e di estetica, di forma e di genere ( termini per lo più legati alla produzione musicale di matrice aristocratica) che hanno portato al depauperamento del nostro patrimonio sonoro.Si è voluto creare un concetto di musica come arte dei suoni e di musica colta in antitesi ad una musica popolare nata spontaneamente dal ‘volgo ignorante’. Quanto di più falso e tendenzioso: la creazione musicale in ambedue i contesti è sempre operata da singoli dotati di particolare sensibilità; quel che potrebbe trarre in inganno è il ricorso dei ‘colti’ alla scrittura, che li rende più potenti ma non migliori, e la fruizione collettiva di brani connessi al vivere quotidiano da parte degli ‘incolti’. Si è voluto creare un deleterio concetto di estetica musicale (mutevole nei secoli): i preconcetti estetici, scaturiti da un’angusta visione del mondo, favoriscono l’attivazione esclusiva di alcune vie sinaptiche[4] a scapito di altre svariate possibilità stimolatorie per il nostro sistema nervoso; inoltre, le pretese eurocolte di assolutezza estetica nei confronti della propria musica si infrangono di fronte alla miriade di manifestazioni e di culture emersa soprattutto per il potenziamento dei mass media, protagonisti del secolo che ci lasciamo alle spalle. Sebbene la forma esista in natura e l’arte la riproduca per mimetismo, non è detto che il musicista debba attenersi ad essa. Anche la categoria del genere è un’ impostura teorica, utile in sede di riflessione musicologica, ma spesso assunta come strumento di separazione gerarchica dei fruitori: alla prassi elitaria di distinguersi snobbando si è aggiunta quella industriale impegnata a creare distinzioni fittizie di pubblico (un acquirente anonimo e non ‘intruppato’ si rivelerebbe una domanda difficilmente pianificabile per un’offerta redditizia). Insomma, tutte queste categorie di pensiero sono delle false convinzioni, smentite dalla pluralità nell’unità dei fenomeni musicali. Quest’ultimi, se ancora saremo ricettivi, potrebbero condurci all’idea che la musica vada ascoltata vibrazionalmente, senza preconcetti edonistici e senza schemi per generi. Con questo non dico che i compositori che lavorano seguendo delle regole siano sulla strada sbagliata, ma che per poter esprimersi devono superare un tortuoso diasistema semiologico: un iter che dal loro Io passi necessariamente attraverso il pensiero logico di codifica, per migrare verso il sistema logico di decodifica dei destinatari musicali. La comunicazione che avviene attraverso pura vibrazione scavalca questo iter e dà a tutti l’opportunità di ricevere e di esprimersi (anche se solo pochi riusciranno a sublimare il proprio vissuto in suono). Detto questo, gli autori del passato andranno ammirati per il loro sforzo interpretativo nei confronti del contesto d’appartenenza (depurando la loro produzione dalle costrizioni signorili a cui essi sottostavano per poter vivere e nel contempo assolvere alla loro missione profetica in musica), oltre che per la notevole perizia intellettiva dispiegata.

 

Alla riscoperta del suono perduto: l’arte di Giorgio Occhipinti.

L’innegabile progresso tecnologico e scientifico registratosi sul continente europeo ha procurato benefici anche alla sfera musicale (basti pensare al temperamento equabile[5] e al perfezionamento degli strumenti musicali), ma nel contempo l’ha danneggiata. Mentre le culture orali sviluppano la creazione artistica più o meno in senso multidirezionale (cioè lavorano egualmente su tutti i parametri del materiale sonoro: altezza, timbro, ritmo, armonia, melodia, ...), nelle culture letterate, come l’europea, in cui agisce sempre più il senso dell’occhio e la razionalità, si incrementa parossisticamente solo l’aspetto notazionale (da cui la sacralità della partitura), che rileva efficacemente soltanto altezze e durate: in poche parole, la musica d’arte ha puntato sull’aspetto armonico perdendo per strada l’essenza stessa della musica, cioè la sua entità acustica. L’appiattimento della ricchezza ritmica nella musica europea (una delle perdite più significative è proprio di natura ritmica), ha causato una sete di esotismo, cioè il ricorso a musiche provenienti da regioni ove il ‘tribalismo’ in musica si conserva (si pensi alle danze nord- e sudamericane che dal ‘500 ad oggi irrompono febbrilmente nel vecchio continente). Lo stesso desiderio di impulsi ancestrali dovette condurre alcuni musicisti europei sulla strada di una emulazione più o meno pedissequa nei confronti della produzione jazzistica (tra l’altro il musicista europeo avvezzo e costretto a seguire la tradizione scritta si trovò lusingato dalla simultanea composizione-esecuzione tipica della musica neroamericana). Sorto come forma d’espressione della minoranza nera, socialmente oppressa e culturalmente estraniata, dal progressivo contatto tra marce e quadriglie nelle ex colonie del sud degli Stati Uniti, il jazz ha raccolto sul suo cammino il favore del mondo musicale bianco, raggiungendo poi l’ Europa. In un primo momento, i musicisti europei lo praticarono nelle balere a fine ludico e remunerativo; in seguito prendendone il messaggio di non normativa espressività musicale e di libertà corporale, dovuto al forte nesso che unisce corpo e spirito nella timbrica e nella ritmica dei neroamericani, gli artisti europei, attraversate tutte le stagioni jazz (dal blues rurale al free jazz), hanno saputo abbandonare quella che è e rimane espressione di identità culturale degli afro-americani: recepito il messaggio bisognava emanciparsi. Così, laddove si cerca di andare oltre il jazz tradizionale, il musicista più sensibile ritrova una ‘pagina pulita’ su cui poter scrivere il proprio sentire non vincolato ad alcuna convenzione formale. Tra gli artisti europei impegnati nella ricerca di un idioma intimo e personale va certamente annoverato Giorgio Occhipinti . Recensito da critici italiani, francesi e inglesi per le sue performances pianistiche e i suoi saggi compositivi, a soli 29 anni può già vantare una sfilza di nomi di levatura internazionale con i quali si è esibito; ha stabilmente suonato in trio con il contrabassista pozzallese Giuseppe Guarrella ed il batterista siracusano Francesco Branciamore (December Thirty Jazz Trio) ed ha ottenuto successi in tutta Europa dirigendo e suonando con l’ Hereo Nonetto per il quale scrive pure la musica; ha al suo attivo varie incisioni. Dal 1993 organizza il Jazz Festival Ibleo al quale partecipano artisti provenienti da tutto il continente. Nel suo fare musica egli utilizza la scrittura per consentire a tutta la formazione di esprimere ‘unità di affetto’,cioè il singolo che esprime per mezzo di un gruppo[6]; adotta apparentemente la gamma convenzionale dei suoni e gli strumenti usuali (dai quali viene emessa però una timbrica policromatica) ,ma, nonostante queste costrizioni, la sua sincresi linguistica , dimentica di quei preconcetti di cui si parlava sopra, riesce a comunicarci senza mediazione cerebrale l’urgenza delle senzazioni emanate dal suo stato d’animo. Come eloquente esempio della sua poetica e della sua tecnica compositiva potremmo sommariamente prendere in considerazione Antitango : quadro di un pensiero (brano contenuto nel Cd inciso nel 1995[7]): in esso l’esordio di classica memoria denuncia la prima formazione pianistica del compositore. Il formalismo di tale inizio è presto messo in discussione dal linguaggio libero che permeerà tutto il brano, un avanguardismo che ha fatto tesoro delle esperienze del free jazz e che parimenti si coniuga con le occhipintiane reminescenze bandistiche ( notare che la musica da banda in connessione con la danza è elemento presente anche nel jazz delle origini). Sgomberato il campo da ogni costrizione scolastica, incastonata al centro del brano si insinua una melodia araba, quasi a rimarcare la mediterraneità dell’autore. L’idilliaco momento è dimenticato per l’insorgere della frenetica eterofonia controllata, dalle cui maglie si sprigiona un tango (ancora la danza e gli ottoni), anch’esso contestato sul finire della composizione in cui l’ultima parola non poteva che spettare ad un’espressività senza catene. Chi giudica la musica di Occhipinti solo rumore (obietterei che anche il rumore, semmai questa musica lo fosse, è vibrazione quindi musica) è ovviamente ingannato dalle sue costrizioni estetiche, magari nostalgicamente legato al repertorio ottocentesco o sull’ altro versante allo swing, incurante del trascorrere del tempo che registra mutamenti culturali al mutare delle condizioni storiche e sociali dell’umanità. Chi voglia riconquistare il proprio paradiso perduto, che è eminentemente acustico, non avrà altro da fare che chiudere gli occhi, lasciarsi rapire, non da fasulle emozioni dettate dal raziocinio, ma da autentiche sensazioni vibratorie.

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Note

1. Queste riflessioni sono nate a seguito dell’applaudito concerto tenutosi in Cremona il 29 marzo nel quadro della rassegna Progetto Jazz, che ha avuto protagonista l’Hereo Nonetto diretto da Giorgio Occhipinti.

2. Alcuni psicologi credono che l’emisfero sinistro contenga le capacità razionali e logiche, mentre l’emisfero destro controlli il lato più intuitivo ed emotivo della vita (ma la faccenda è più complessa).

3. Bibl. : Star bene con la musica : musicoterapia [...] / Marcella Danon. - Milano : Sonsogno, 1997.

4. La sinapsi è il punto nel quale il neurone determina l’eccitamento; essa può lasciar passare o bloccare un segnale. Tramite le sinapsi gli impulsi elettrici generati dalle cellule nervose possono prendere strade diverse a seconda di come questi ‘interruttori’ sono collegati.

5. Per temperamento equabile s’intende la deduzione matematica degli intervalli dal continuum sonoro tra una frequenza ed il suo doppio (ottava) mediante il quale si ottiene una scala cromatica di 12 suoni.

6. Del resto, i compositori hanno avuto sempre il medesimo scopo, affidando al supporto cartaceo le proprie idee: semmai l’elemento degenerativo è l’uso della partitura in senso feticistico che trasforma l’appunto compositivo tout court nella musica dell’autore anche se essa ha ormai smarrito la sua contestualità esecutiva.

7. Discogr.: The kaos legend / Giorgio Occhipinti ; Hereo Nonetto (Gran Bretagna : Leo Records Laboratory, 1995).